Mi svegliavo sempre all’alba. Senza
che avessi qualcosa di preciso da fare uscivo e andavo in strada, verso la
spiaggia il più delle volte. Di tanto in tanto incontravo le venditrici di
frutta che iniziavano a preparare le ceste e qualche vecchio ubriacone. I
turisti no. Era troppo presto per loro. Dovevano ancora riprendersi dall’alcool
e dal sesso della notte precedente. Mi piaceva che non ci fossero in giro. Era
bello vedere Cuba in mano ai cubani, almeno ancora per qualche ora. Era come se
quei momenti di luce appena poggiata sul mondo fossero gli unici veri della
giornata, come se la verità lentamente sfumasse nella bugia.
Delle volte fumavo, anche se era
presto fumavo. Col sapore del latte in bocca mi accendevo qualche strana
sigaretta messicana o peruviana, rimediata chissà dove e chissà da chi. E
camminavo, voglio dire uscivo di casa esattamente per far quello. Camminavo e
mi guardavo intorno. Guardavo. E guardavo. Non mi sarei mai stancato di farlo.
Mi piace da impazzire come il cielo dei Caraibi si getti nell’oceano e come i
colori prendano il sopravvento sul grigio della notte. Qualche volta entravo
nel bar 24 ore. Fissavo le gambe delle cameriere e il seno della cassiera
bionda. Non era bellissima. Voglio dire non era bella come le altre. Ma quel seno
aveva lo strano potere di ipnotizzarmi. Era grande ma sodo e perfetto. Sembrava
quello di una ragazza ben più giovane e la cassiera sembrava rendersene conto
perfettamente, perché, non so come riusciva a farlo, ma quel seno era al centro
esatto del mondo. Voglio dire che sembrava che tutto il bar, e la spiaggia, e
l’oceano e io stesso, non potessimo far altro che ruotare intorno a quella
meraviglia. Lo compravo là dentro il latte. Portavo il bicchiere alle labbra e
non smettevo di fissare quella meraviglia della natura. No era perversione la
mia, non mi piace la perversione. Mi piace tutto il resto.
Yania, si chiamava così quella
cassiera conturbante, mi salutava sempre con un bel sorriso. Io ricambiavo il
suo saluto nel solo modo che uno straniero potesse fare, lasciando una buona
mancia. Non le avevo mai parlato prima di quel mattino. Lei non lo aveva fatto
con me ed io non volevo costringerla a iniziare la lotta dei doppi sensi così
di buon ora. Ma quella volta fu lei a dirmi qualcosa.
“Ti svegli sempre così presto?”.
“Dormo poco”.
“E la sera non esci?”.
“La sera esco, esco tutte le sere.
Di solito vado a cenare all’Avana e rientro in piena notte”.
“E come puoi essere qua alle sei del
mattino?”.
“Dormo poco. Da quando sono bambino.
Tre ore al massimo”.
“Oh. È strano”.
“Sì, è strano”.
“Sei al Tropicoco?”.
“Sì”.
“Ci lavora mia sorella, è al bar”.
“Ora che me lo dici, be’ forse sì,
ho capito chi potrebbe essere”.
“Ah ah ah, parli del seno tesoro?”
“Come dici?”.
“Parli del seno? Mi hai detto che
forse hai capito chi potrebbe essere mia sorella perché ha il seno più grande
del mio?”.
“No. Sì. Esattamente per questo
motivo. Ho fatto mente locale e mi è venuto in mente che potesse essere proprio
lei. Si chiama Dania, vero?”
“Esattamente. La conosci?”
“Preferisco i suoi cocktail a quelli
degli altri barman e poi è sempre gentile”.
“Scusa se ti faccio una domanda, ma
sei sempre solo?”
“Vuoi dire che non mi vedi mai con
nessuna ragazza”.
“Volevo dire questo. Non hai la
novia?”.
“Sono a Cuba per scrivere”.
“Sei un giornalista?”
“Uno scrittore. Sto scrivendo un
romanzo”.
“Oh, che bello. Un romanzo
ambientato all’Avana?”.
“Un romanzo ambientato a Tokyo”.
“In Giappone? Uno scrittore italiano
che passa l’estate a Cuba per scrivere un romanzo ambientato a Tokyo? Ah ah ah,
scusa se te lo dico ma è una situazione strana”.
“Sono pieno di situazioni strane.
Diciamo che ci sono abituato e mi tengono compagnia”.
“Io sono una gran chiacchierona,
forse ti sto annoiando”.
“Non mi annoia parlare con te. Anzi
lo trovo… come si dice in spagnolo… eccitante”.
“Oh, eccitante? Ah ah ah, e perché
lo trovi eccitante?”.
“Ti trovo una donna molto
eccitante”.
“E vediamo cosa ti piace di me?”.
“Quel candore della pelle. Non so
come tu faccia a restare così bianca. Poi il disegno delle labbra”.
“Di solito gli uomini mi dicono
parole diverse”.
“Di solito anche io dico parole
diverse”.
La radio cantava una canzone di Raul
Paz. Era lenta e sensuale. Poche parole ed una musica leggera. Le presi una
mano e la baciai augurandole buongiorno. Era bello fare lo stupido. Era bello
starsene così lontani da casa e da sé stessi. Solo stando lontani da sé stessi
si può pensare di essere proprio sé stessi.
Per un paio di giorni piovve. Scrissi
molto e quello che mi sorprese fu che non gettai via quasi nulla. Il brutto
tempo mi aiuta sempre a scrivere. Poi tornò il sole e la musica. Tornò la
confusione sulla spiaggia. Le ragazzine venute dall’interno per vendere il
proprio corpo e cercare sogni di felicità. Poi tornò tutto. E io non andai più
a trovare Yania. Non c’era più bisogno.